Se ci si interroga sulle ragioni del successo mondiale de "Il Signore degli Anelli", punta di diamante della produzione tolkeniana riguardante la Terra di Mezzo (che pure annovera capolavori come "Lo Hobbit" e "Il Silmarillion"), vengono alla mente diverse risposte. Si può pensare che si tratti dell'epica raffigurazione della lotta tra il bene e il male; o della elaborazione di un mondo in un certo senso mitico, in quanto popolato di creature come elfi, gnomi, nani, ecc., che da sempre popolano l'immaginario umano; o della straordinaria capacità di delineare la psicologia di personaggio complessi, e per di più non umani. Beninteso, queste sono tutte formidabili valenze del lavoro di Tolkien, sono il segno dello spessore e della durata di un'opera che inutilmente i critici hanno cercato di ridimensionare, contraddetti da sempre da nuove ondate di lettori.
Tuttavia c'è forse un altro aspetto dell'opera, meno evidente ad un prima osservazione ma pervasivo della sua struttura, come il sistema nervoso in un corpo, che ne costituisce la forza e la ragione d'essere profonda. Parliamo dell'ambientazione del romanzo, della sua collocazione geografica e paesaggistica. Parliamo, insomma, della Terra di Mezzo.
Al di là delle magnifiche cartine geografiche, disegnate dallo stesso Tolkien, che ci danno il senso di una terra reale, nella sua distribuzione, perfettamente casuale, tra pianure e montagne, deserti e mari, laghi e fiumi, zone desertiche e zone densamente popolate, l'impressione di realtà è molto maggiore ad aprire le pagine del romanzo stesso. Lo scrittore vi dispiega tutta la sua particolare abilità di fisiologo, la capacità de rendere un intero ecosistema, totalmente alieno rispetto ai parametri del nostro pianeta reale, e insieme improntato al profondo simbolismo che rende il romanzo una possente raffigurazione del dramma cosmico che contrappone i principi del bene e del male.
La narrazione stessa, poi, porta i personaggi a muoversi in scenari sempre diversi, la cui descrizione diventa in qualche modo obbligata; è chiaro che il racconto del viaggio, o della battaglia campale, giocano moltissimo sull'effetto-ambiente; ma non bisogna dimenticare anche il carattere rurale della civiltà degli hobbyt, degni simboli, col loro attaccamento alla terra e alle rispettive origini, della polemica antiindustriale e in certo modo antimodernista di Tolkien. Tale predominio dell'ambiente campagnolo si esprime nella raffigurazione di paesaggi mai monotoni, sempre diversi, e soprattutto animati da una loro intima sacralità, da un loro valore spirituale inestimabile che tocca, per dir così, ogni singola zolla di terra.
Ma vediamo, scorrendo il romanzo, qualche esempio di tale magica presenza dello sfondo, che emerge quasi a personaggio dominante. Nel capitolo In tre si è in comagnia leggiamo:
"I boschi che fiancheggiavano il sentiero diventarono più fitti; gli alberi erano ora più giovani e folti e, lungo il viottolo che scendeva a precipizio in una falda della collina, molti cespugli di noccioli crescevano sulle pendici da ambedue i lati. Infine gli Elfi deviarono a destra, fuori del sentiero. Una pista erbosa correva pressochè invisibile nella fitta foresta, ed essi la seguirono, nel suo ripido serpeggiare su per le pendici boscose, fino alla sommità delle creste dei colli che si ergevano nella fertile pianura della grande vallata. Uscirono all'improvviso dal buio denso degli alberi, e si trovarono in una vasta radura colorata di grigio dalla notte. Era circondata su tre lati dai boschi, ad est si apriva uno strapiombo, ove crescevano alberi scuri le cui chiome ondeggiavano nella brezza. Ancor più sotto la pianura si stendeva piatta ed offuscata, dominata dalle stelle." (S.d.A. pg.120)
E' una pagina di oscura magia descrittiva, non inferiore a quella che emana dalle sottili, efebiche figure degli Elfi.
Nel capitolo L'Anello va a Sud leggiamo:
"I viaggiatori giunsero ad una bassa cresta ove crescevano antichi alberi d'agrifoglio i cui tronchi grigioverdi sembravano costruiti con la pietra stessa delle colline. Le foglie erano scure e lucenti, e le bacche ardevano rosse ai raggi del sole nascente.
All'estremo sud Frodo intravedeva i vaghi contorni di alte montagne che parevano ora ergersi in mezzo al sentiero che la Compagnia stava per percorrere. Alla sinistra dell'imponente catena s'innalzavano tre vette; la più alta e vicina era come un dente aguzzo incapucciato di neve; la grande e spoglia parete nord a precipizio era ancora in gran parte immersa nell'ombra, ma là dove i raggio obliqui del sole si posavano, brillava di un rosso acceso" (S.d.A. pg. 355/356)
Dal paesaggio qui descritto promana il senso della tremenda difficoltà, degli enormi ostacoli, non solo naturali, che la Compagnia deve affrontare nel suo viaggio fino a Mordor.
La descrizione del paesaggio e dell'ambiente naturale si carica di ulteriori suggestioni, ricche di pensosa malinconia, in molte delle poesie (mirabilmente tradotte) che Tolkien inframmezza alla narrazione, come leggiamo, per esempio, nello stesso capitolo L'Anello va al Sud